AIDU

Presidenza nazionale
Via Crescenzio 25 - 00193 Roma

 

Roma, 10-11-1999

Al Sen. Prof. Ortensio Zecchino

Ministro dell'Università e della Ricerca scientifica e tecnologica

MURST Roma


 

      Caro Ministro,

      esprimo anzitutto gratitudine a Te e al sottosegretario prof. Luciano Guerzoni, per l'invito rivolto all'AIDU a partecipare, giovedì 4 novembre, alla riflessione comune, con le altre associazioni professionali di docenti universitari, intorno ad una "Ipotesi di lavoro sullo stato giuridico dei docenti universitari", sottopostaci per avere le prime valutazioni "a caldo" da parte dei rappresentanti delle categorie interessate, in vista di un disegno di legge che presenterai al più presto al Governo come collegato ordinamentale alla legge finanziaria. Abbiamo appreso con soddisfazione che per tali provvedimenti non è tassativo il termine del 31 dicembre e che ci sarà quindi spazio per successivi incontri, che entrino nel merito dell'articolato governativo.

      Questa convocazione urgente, cui ho partecipato col vicepresidente prof. Vincenzo Marigliano, costituisce da parte del Ministero un atto di fiducia di cui siamo grati ed è per noi un impegno ad entrare da subito nel merito del problema più qualificante per un'associazione professionale di docenti: quello dello stato giuridico. Abbiamo immediatamente promosso un incontro di studio venerdì 5 novembre, aperto ai soci e ai colleghi interessati e abbiamo formulato alcune riflessioni che Ti sottopongo.

      Mi permetto di richiamare inizialmente alcune caratteristiche dell'AIDU, per indicare il punto di vista dal quale prendiamo in considerazione questa materia. Anzitutto è ovvio che non abbiamo ancora maturato un patrimonio comune di idee su tutte le questioni che riguardano la realtà universitaria. Depositato lo statuto il giorno 8 luglio presso un notaio, la nostra associazione è nata formalmente costituita con l'assemblea di fondazione del 16 ottobre scorso, che ha approvato lo statuto e incaricato il comitato promotore di agire come consiglio direttivo, promuovendo la costituzione delle sezioni in tutti gli atenei.

      Secondo il suo statuto, l'AIDU è organizzazione professionale dei docenti universitari e ne assicura la rappresentanza; ha per fine la valorizzazione e lo sviluppo della professione docente nella ricerca, nell'insegnamento e nella partecipazione alla vita universitaria, ispirandosi ai principi del Vangelo e a quelli della Costituzione repubblicana; è autonoma e apartitica, a struttura democratica, con disciplina uniforme del rapporto associativo dei soci; aderisce alle iniziative di coordinamento ecclesiale, collabora con altre associazioni professionali impegnate nell'educazione e nell'insegnamento che perseguono finalità compatibili con le proprie.

      Per conseguire le sue finalità l'AIDU promuove la formazione morale e professionale dei soci; cura lo sviluppo della spiritualità professionale, individuale e comunitaria, da viversi e da testimoniarsi anzitutto nell'ambiente universitario; elabora e propone, con iniziative qualificate, temi e programmi scientifici e culturali per docenti, discenti, e più in generale per la società civile; promuove la partecipazione dei docenti alla vita della comunità universitaria, degli organi accademici, e degli ambiti professionali e sindacali; assume iniziative utili per recare il leale contributo dei docenti cristiani allo sviluppo della comunità universitaria ai vari livelli, di ateneo, nazionale e internazionale.

      Per queste sue caratteristiche e per la sua giovinezza associativa l'AIDU si limita a porre in evidenza alcuni principi valori che guidano queste iniziali riflessioni sul documento proposto.

      La ridefinizione dei diritti e dei doveri dei docenti universitari deve tener conto delle finalità e delle funzioni dell'istituzione universitaria quale si autocomprende ed è compresa dalla società contemporanea. Se vanno abbandonati privilegi socialmente ingiustificabili, vanno difese alcune fondamentali prerogative di una figura che serve ad una società libera e democratica in quanto caratterizzata da libertà e da responsabilità.

      La ricerca e l'insegnamento propri delle istituzioni universitarie non possono non avere un carattere essenzialmente formativo. Di questa formazione si sottolineano, nei tempi a noi più vicini, giustamente preoccupati della qualità delle competenze, i risvolti relativi alla professionalizzazione degli studenti, a livello di laurea, di laurea specialistica e di specializzazione. Ciò comporta una specifica responsabilizzazione del docente universitario in proposito, anche se ciò avviene con diversa incidenza nei diversi corsi di studio e nelle diverse discipline.

      L'università però non può essere solo sede di formazione professionale, intesa per di più in senso molto riduttivo e limitato ai soli aspetti tecnici delle professioni. L'università deve coltivare anche l'uomo in quanto persona, che sappia rendere conto a se stessa del valore e del senso di quello che studia, in un contesto di persone; e deve coltivare l'uomo in quanto cittadino, che sappia convivere e cooperare, concorrendo a produrre le condizioni che rendano più vivibile e più governabile la società civile, proprio a partire da quella microsocietà che è l'università stessa.

      Queste assunzioni di sapore deontologico non dipendono solo dalla spiritualità cristiana cui si richiama la nostra associazione, ma da un puntuale riferimento al testo costituzionale, che costituisce l'orizzonte etico e normativo entro il quale acquistano senso e valore le norme relative all'autonomia universitaria e al ruolo dei docenti: si può pertanto dire che l'autonomia è quella prerogativa che consente all'università di concorrere, attraverso le funzioni specifiche della ricerca e dell'insegnamento, alla formazione di persone, di cittadini e di professionisti. Il sapere si ricerca e si consegna nella prospettiva del saper essere, del saper interagire e del saper fare. Questi riferimenti dovrebbero a nostro avviso comparire nella definizione dei diritti e dei doveri dei docenti.

      L'obbligo di svolgere attività didattica in modo da rendere un effettivo servizio agli studenti, in rapporto alle necessità che si manifestano nell'intero ateneo appare giustificato sia dal punto di vista del docente che non va emarginato né sottoutilizzato, sia dal punto di vista dell'istituzione, che deve valorizzare appieno le sue risorse. Per evitare lesioni della libertà di insegnamento, è però necessario che le attribuzioni di compiti didattici diversi da quelli per i quali è avvenuta la chiamata siano subordinate al consenso dell'interessato; in via subordinata, è necessario richiedere il consenso dei docenti entrati in ruolo prima dell'entrata in vigore della l. 341/1990 (conformemente all'art. 15, u.c., di questa), nonché quello dei docenti cui si intendano affidare compiti didattici estranei al settore scientifico-disciplinare di inquadramento.

      Si giustifica anche un congruo aumento del tempo di impegno didattico del docente, in armonia con quanto avviene in molti altri paesi. Ciò deve comportare anche un consistente aumento retributivo.

      La previsione che i corsi debbano svolgersi "continuativamente per tutto l'anno accademico" appare invece inutilmente lesiva dell'autonomia organizzativa delle università, le quali frequentemente prevedono di concentrare in un semestre insegnamenti annuali (con conseguente raddoppio delle ore di lezione settimanale). Tra l'altro, questa modalità consente a non poche università periferiche di "esistere", ricorrendo all'affidamento esterno in favore di personale in servizio presso altre sedi.

      Pericolosa ci sembra la creazione di giunte esecutive ristrette, che svolgano alcuni compiti attualmente spettanti al plenum del consiglio di facoltà. Come riconosce la giurisprudenza amministrativa, infatti, la partecipazione di tutti i professori al Consiglio di facoltà è corollario della loro libertà di insegnamento e di ricerca. Essa, quindi, non può essere sostituita dalla delega ad organismi di secondo grado. Qualora, comunque, si intendesse varare questa riforma, sarebbe essenziale che le funzioni più strettamente connesse alle due libertà garantite dall'art. 33, comma 1, Cost., fossero riservate al plenum. In questa prospettiva, sarebbe opportuno un ampliamento degli oggetti elencati dal documento in esame.

      Il mantenimento in vita di tre fasce della funzione docente, come previsto dall'attuale normativa e da quella in corso, corrisponde al bisogno di valorizzare i diversi livelli d'impegno accademico di studio e di ricerca ed è incentivo alla produttività scientifica. Le regole di accesso e di progressione debbono essere particolarmente curate, per non impedire il raggiungimento degli obiettivi indicati.

      Vanno per esempio indicati gli obblighi dei docenti della prima fascia in ordine alla maturazione di competenze scientifiche e didattiche dei colleghi più giovani. L'impegno alla formazione dei quadri universitari, in regime di concorrenza tra diversi atenei, può giustificare la differenziazione di livello stipendiale e di funzione, più della sola riserva dell'elettorato passivo a certe cariche o della riserva della direzione di grandi progetti di ricerca.

      Circa molte altre questioni sollevate dalla "Ipotesi di lavoro", ci riserviamo d'intervenire in un secondo momento, a commento dell'articolato governativo.

Molti auguri e rinnovati ringraziamenti.

(prof. Luciano Corradini, presidente dell'AIDU)